Medici in prima linea per emergenza Covid-19

a cura di Ivana D’Imporzano

Non potevamo in questo periodo, che ci ha coinvolto fisicamente ed emotivamente, non dedicare attenzione al lavoro incessante di medici e infermieri che operano nelle terapie intensive, che nel nostro territorio e in tutta la nazione si sono presi e si prendono cura delle persone con gravi patologie. Ci rivolgiamo alla dott.ssa Elisabetta Bertellini, direttrice della Struttura Complessa di Anestesia Rianimazione Terapia Intensiva dell’ospedale Civile di Baggiovara e dell’Anestesia del Policlinico.

Carissima Elisabetta, come è nata la tua decisione di dedicarti a questa professione, molto impegnativa anche da un punto di vista psicologico come in ogni settore medico?
Durante il Liceo ho maturato la convinzione e la decisione di voler diventare medico, nel percorso universitario ho avuto la conferma di aver fatto la scelta giusta e che la medicina sarebbe stata la mia passione. Quando ho frequentato, come studente, le corsie e la sala operatoria sono venuta in contatto con l’Anestesia-Rianimazione, una specializzazione “strana”, in quegli anni, in cui  aveva grandi potenzialità, non ancora espresse. Il mio pensiero va, a volte, a quella mattina in cui, insieme ad una mia compagna di corso e cara amica, che aveva il mio stesso interesse, mi sono presentata al Prof. Barbieri, allora Direttore dell’Anestesia e Rianimazione e Direttore della Scuola di Specializzazione di Anestesia e Rianimazione, per chiedere di poter frequentare e manifestare l’interesse per la questa Specialità. In famiglia non c’è stato grande entusiasmo per la mia scelta: mia madre avrebbe preferito un contesto meno impegnativo, sia fisicamente che psicologicamente, mio padre, conoscendo la mia determinazione, si è convinto subito che sarebbe stata, senza dubbio, quella giusta.
Ancora oggi, quando mi confronto con giovani colleghe, colleghi specializzande e specializzandi dico sempre che, per poter svolgere al meglio il nostro lavoro, occorre essere convinti della strada intrapresa, l’impegno fisico e psicologico è notevole (urgenze, emergenze, dolore degli individui, delle famiglie….), non sempre riconosciuto, se non in situazioni particolari quale è stata l’emergenza Covid 19, per l’importanza che riveste. Ho avuto grandi opportunità di crescita professionale, che mi hanno consentito aggiornamento e confronto, importantissimo il periodo negli Stati Uniti. Successivamente mi è stato conferito l’incarico di primario, una grande opportunità per realizzare quanto costruito nel tempo, ma anche una grande responsabilità, soprattutto in una Terapia Intensiva, dove, talvolta la tempestività, il tempo, le scelte terapeutiche sono determinanti per la sopravvivenza delle persone. Autorevolezza e responsabilità sono fondamentali per la gestione di un gruppo di professionisti che lavora con te e deve essere un gruppo preparato, forte, unito deve perseguire gli stessi obiettivi. Occorre essere di esempio, essere sempre disponibile ad affrontare, inseme i problemi e a risolverli, stimolare l’aggiornamento e la crescita professionale di medici e infermieri. La Terapia Intensiva costituisce uno dei contesti in cui soltanto una indispensabile e strettissima collaborazione tra professionisti può portare a buoni risultati. Compito di un primario di un’Anestesia- Rianimazione è anche essere di sostegno personale e psicologico nell’affrontare le situazioni coinvolgenti e dolorose che ci presenta il nostro lavoro.

Che cosa è cambiato nel tempo da un punto di vista tecnologico, e nella formazione di chi si dedica alla cura di persone che vivono momenti di particolare gravita, non soltanto fisica ma anche psicologica?
È cambiato veramente tanto negli anni e cambia velocemente. La ricerca ci ha messo a disposizione nuovi farmaci importantissimi nel trattamento del paziente critico, l’evoluzione tecnologica in Anestesia e Rianimazione è consensuale alla ricerca, all’aggiornamento, alla formazione. Le apparecchiature che, quotidianamente, utilizziamo per il monitoraggio delle funzioni vitali ci danno la possibilità di raccogliere dati, informazioni indispensabili per un adeguato trattamento del paziente. Abbiamo sentito, durante questo terribile periodo in cui il Coronavirus ha stravolto la vita di tutti, parlare di ventilatori polmonari, di quanto siano indispensabili nelle condizioni più gravi, della necessità di averne il maggior numero possibile per poter dare speranza a tutti, dell’impegno delle Istituzioni e della gara di solidarietà e della generosità di tanti per recuperarne il maggior numero possibile, cercandoli in tutto il mondo. Il ventilatore polmonare è l’apparecchiatura che usiamo quotidianamente nel nostro lavoro ed è incredibile quanto l’evoluzione tecnologica abbia cambiato in pochi anni la possibilità di risolvere dal punto di vista respiratorio anche le situazioni più complesse. Lungo sarebbe l’elenco di tutti i nuovi dispositivi che, con notevole frequenza, ci vengono messi a disposizione da aziende che hanno il nobile obiettivo di investire anche nella ricerca. Moltissimo è cambiato, però, anche nel rapporto con la persona malata e con i familiari, obiettivo comune di noi medici è curare non soltanto la malattia ma prendersi cura della persona. Quando ho iniziato la Specializzazione, per molti anni a seguire e, purtroppo, ancora oggi in alcune Terapie Intensive, i familiari potevano vedere i loro cari soltanto attraverso un vetro, da lontano, non potevano stringere loro la mano, sfiorarli con una carezza. In casi eccezionali veniva consentito loro di avvicinarsi, ma soltanto con dispositivi che li rendevano del tutto irriconoscibili, ho visto la sofferenza per dover stare lontani che si aggiungeva alla paura, al dolore, alla disperazione. Non potrò mai dimenticare quelle mani appoggiate sul vetro alla ricerca di un contatto fisico impossibile.
I pazienti ricoverati in Terapia Intensiva sperimentano, più di altri il processo di depersonalizzazione dovuto a numerosi fattori, la perdita della privacy tipica delle rianimazioni open space, il senso di isolamento, la difficoltà a comunicare. Fortunatamente il mondo scientifico ha dimostrato che, pur con precauzioni e ad eccezione di condizioni cliniche particolari, non comporta per i pazienti nessun aumento di rischio infettivo. Il mondo istituzionale e scientifico sono molto attenti a favorire un percorso di “umanizzazione” delle cure, con apertura del reparto ai familiari, con pochi limiti di orario, con l’obiettivo di incontro tra le cure intensive ed i bisogni psicologici, relazionali, di comfort ambientale, migliorando la qualità dell’assistenza. È il paziente, la persona e non più la malattia ad essere posta al centro delle cure, intese come presa in carico della persona nella sua complessità, focalizzando l’attenzione sulla gestione clinica, ma anche su aspetti, non meno importanti che riguardano la dimensione “umana” del paziente e dei familiari. Si sono realizzati progetti, negli anni scorsi, neppure immaginabili come portare non soltanto la musica ma addirittura strumenti musicali e musicisti in Rianimazione. Secondo recenti studi, la musica ha effetti benefici sui pazienti critici, determina importanti risposte fisiologiche e può diventare uno strumento privilegiato per superare il senso di isolamento e contribuisce a favorire la relazione con familiari e personale curante.
Il progetto musicale da noi promosso è stato realizzato con la straordinaria disponibilità e collaborazione dell’istituto Superiore di Studi Musicale “Vecchi-Tonelli” di Modena e prevede incontri durante i quali musicisti esperti di Musicoterapia, attraverso strumenti musicali, condurranno trattamenti musicoterapici ai pazienti critici, con il coinvolgimento di operatori sanitari e familiari. Questa nostra esperienza è stata selezionata, di recente, tra i contributi di notevole interesse al più importante Congresso Europeo di Terapia Intensiva.

Conosco, ho conosciuto anche personalmente, la grande sensibilità di chi si prende cura di pazienti che hanno bisogno di cure ma anche di un sorriso e di una vicinanza emotiva. Ricordo il vostro impegno, anche con il prof. Massimo Girardis, direttore di anestesia e rianimazione del policlinico di Modena, per il progetto “Terapie intensive aperte” ai familiari dei degenti. Immagino che, in un momento così difficile per la pandemia Covid-19, ai pazienti sia mancato anche il vostro sorriso e la vostra stretta di mano. Anche per te, che sei una persona così sensibile, non sarò stato facile…
Cara Ivana ricordo, con moltissimo piacere, non soltanto la nostra partecipazione a Obiettivo Salute, con te che, come sempre, hai saputo trarre il meglio di quello che noi avremmo voluto comunicare con il nostro intervento, ma anche di un’iniziativa al Policlinico, da te condotta, che aveva come obiettivo di divulgare le prime esperienze, in ambito provinciale, di Umanizzazione delle Terapie Intensive. Abbiamo parlato tutto delle nostre iniziative, ma l’intervento più importante fu quello di una signora che raccontò del dolore vissuto per la perdita del compagno e anche, però, della serenità per essergli potuta stare vicino durante la degenza in Terapia Intensiva, fino alla fine. Questa terribile epidemia ha stravolto tutto, ha anche “sospeso” quanto di buono siamo riusciti a realizzare con il progetto delle “Terapie Intensive aperte”, ci siamo trovati, medici e infermieri, di fronte a situazioni dolorose e drammatiche che mai avremmo immaginato. I nostri pazienti coscienti hanno visto di noi soltanto gli occhi attraverso i sistemi di protezione oculari (occhiali e visiere), sentite le voci che hanno cercato di essere il più tranquillizzanti possibili, però in un contesto molto concitato, abbiamo percepito la loro angoscia e la loro paura, nella consapevolezza di non poter regalare loro neppure un volto o un sorriso che potesse dare loro fiducia. La fiducia che chi ha superato la fase critica ci ha, comunque, dimostrata raccontandoci, magari dopo giorni di coma farmacologico, delle loro famiglie, dei loro interessi, delle loro bellissime automobili... Con il ricovero in Terapia Intensiva di pazienti gravissimi, alcuni dei quali, purtroppo, lo sapevamo, non avrebbero superato una condizione clinica di estrema criticità, siamo entrati in contatto con famiglie duramente colpite dalla malattia e, talvolta, dalla morte. Nella prima fase sentivamo soltanto voci preoccupate, disperate, affaticate a volte dalla malattia e tanti pianti che ci hanno duramente provati. Lavorando in una Terapia Intensiva ci capita spesso di dover dare informazioni di condizioni cliniche critiche , di morte, fortunatamente, anche di speranza, lo facciamo guardandoci in faccia, cercando di dare spiegazioni, conforto, con un sorriso, ci è pesato molto non poter fare nulla di tutto questo. Siamo giunti alla consapevolezza di dover trovare un modo per dare la possibilità alle famiglie di vedere i loro cari, che avevano visto, per l’ultima volta, sulla porta di casa o al Pronto Soccorso e li avevano salutati cercando di rassicurarli dicendo che tutto sarebbe andato bene, senza la possibilità di stringere loro la mano , di accompagnarli e di dover far comprendere le reali condizioni cliniche dei pazienti. Una mia collaboratrice, la dott.sa Maria Cristina Soccorsi, ha identificato nelle videochiamate lo strumento utile affinché i familiari potessero vedere e maturare consapevolezza, perché i pazienti coscienti potessero comunicare con i loro cari e ci siamo immediatamente attivati per avere a disposizione quanto necessario, un numero sufficiente di smartphone. Ci sono stati dei momenti veramente commoventi, tra questi quando un signore, ancora privo di forze, agitava vigorosamente la mano per salutare la moglie.

Carissima dott.ssa Bertellini, il tuo impegno professionale non ha orari: spesso tu e i tuoi colleghi specialisti nelle diverse discipline e reparti siete impegnati giorno e notte. Penso che non sia semplice staccare la mente, il pensiero dalle situazioni che avete affrontato: gli affetti, le amicizie vere possono essere un supporto valido per staccare la mente? E magari per pensare anche a voi stessi, visto il continuo impegno che profondete per gli altri?
Il nostro lavoro non soltanto non ha orari ma, talvolta, come durante l’emergenza Covid 19, neppure pause almeno nei giorni di festa, inoltre all’impegno professionale si aggiungono la stanchezza fisica e il fatto che quello che abbiamo visto e vissuto quel giorno ci accompagna fino a casa. Spesso quando parliamo con i nostri cari, involontariamente torniamo a qualche episodio, a qualcosa che non riusciamo non soltanto a dimenticare ma neppure, temporaneamente a mettere da parte.
Durante questa epidemia è stato tutto più complicato, non poter incontrare amici, tra familiari , per prudenza, soltanto alcuni (quanti di noi salutavano i genitori soltanto dalla porta o dal cancello di casa per non far correre rischi a genitori spesso anziani e di conseguenza, per definizione fragili!), non poter dedicare tempo a tanti nostri interessi,  non poterlo fare nel modo consueto andando a teatro, ad un concerto, al cinema, ad una mostra.
Non è stato possibile viaggiare, ma neppure far colazione con un’amica oppure fare una lunga passeggiata. Nonostante tutto questo, però gli affetti, le amicizie hanno sempre fatto sentire la loro presenza, forse ancora di più anche se in un modo diverso, ci sono sempre stati, sono bastati i messaggi le telefonate, tra i tanti esempi, carissima Ivana, il nostro frequente contatto serale in cui, per non farmi perdere tempo mi dicevi soltanto “Come stai? Sappi che io ci sono”.
Ti assicuro che anche le chiacchierate con amici, colleghi, magari su argomenti sui quali un tempo non ci saremmo mai soffermati, sono stati importantissimi per portare la nostra mente al quotidiano, non soltanto professionale, tante amiche, sapendo del mio poco tempo a disposizione, mi hanno fatto recapitare dolci e molto altro.
Sono convinta che questo periodo ci abbia ricordato che, anche per chi ha impegni professionali importanti e coinvolgenti, la presenza dei propri cari, degli amici veri costituisce uno degli elementi più importanti della nostra esistenza.

Grazie Elisabetta per il tuo impegno, e per l’impegno di tutti i medici e infermieri che si prendono cura della salute di tutti. Buon lavoro.

 
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