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Silvia Costa (PPD 14)
Silvia Costa

Silvia Costa è nata a Firenze nel 1942, laureata in lettere moderne all’Università di Roma, diviene presto giornalista professionista, collabora con alcune rubriche Rai, e dal 1978 al 1985 è redattrice del quotidiano della Democrazia Cristiana “Il Popolo”. Dirigente della Dc, partecipa alla fondazione del Partito Popolare Italiano, che confluisce nella Margherita, e nel 2007 entra nel Pd.
È stata Consigliere Comunale a Roma, per un decennio (dal 1976 al 1985), e parlamentare per tre legislature (dal 1983 al 1994). Sottosegretario di Stato al Ministero dell’Università, Ricerca Scientifica e Tecnologica (1993/94), nel Governo Ciampi, è stata Presidente della Commissione Pari opportunità tra uomo e donna presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri fino al settembre 2000.
Nel novembre 2000 è stata nominata membro della Commissione centrale di Beneficenza della Fondazione Cariplo. È stata consigliere del CNEL nella VI e VII Consiliatura. Nel 2003 è stata insignita del titolo di Grande Ufficiale della Repubblica dal Presidente Ciampi.
Assessore all’Istruzione, Diritto allo Studio e Formazione nella Giunta Marrazzo, alla Regione Lazio (2005-2009). Eletta membro al Parlamento Europeo nel 2009 (con 119mila voti), nel 2014 si ricandida con il Pd nella circoscrizione Italia Centrale e viene riconfermata (con oltre 72mila voti).

È stata eletta vicepresidente della Delegazione per le relazioni con l’Iraq del Parlamento europeo ed è Presidente delle Commissione Cultura e Istruzione e componente supplente della Commissione Diritti della Donna e Uguaglianza di Genere e della Commissione per le Libertà Civili, la Giustizia e gli Affari Interni. Silvia Costa ha sempre manifestato sensibilità e passione per le tematiche della cultura, dello spettacolo, dell’arte, fin dagli anni in cui è stata Coordinatrice della Consulta Nazionale sullo Spettacolo, prima della Dc e poi del Ppi. Nel 2014 le è stato conferito il Premio Internazionale Profilo Donna.

Per alcuni la commissione che presiede non è di grande potere quando invece le questioni culturali ed educative di un paese rappresentano le radici di una comunità specie in questo periodo storico di forti crisi di valori e appartenenza. Quale differenza può fare il lavoro della sua commissione per il futuro dell’Europa e dell’Italia?
Da tutte le discussioni emergono oggi i temi chiave che dobbiamo affrontare: la qualità dei sistemi educativi, le politiche per i giovani, il patrimonio culturale e la sua valorizzazione, i contenuti culturali sulla rete. La Commissione Cultura dovrà dire la sua, a partire dai prossimi mesi, sul piano di lavoro sulla cultura e su quello sul lavoro e la formazione professionale. Ricordo poi che il Parlamento Europeo è co-legislatore e in forza delle competenze di CULT chiederemo precisi impegni ai commissari indicati sulla revisione della direttiva sui servizi audiovisivi, a favore di un’azione sull’IVA sugli e-book, per una direttiva sull’e-commerce, il copyright e una adeguata regolamentazione degli Over The Top sui contenuti culturali, rendendo meno arbitrari ostacoli e condizioni poste per l’accesso alla rete, il rilancio di Europeana e di altre piattaforme europee.
Ma spostandoci anche su temi di stretta attualità credo che cultura ed educazione, accanto alla sfida della sicurezza, della pacificazione dei focolai di guerra e della cooperazione, allo sviluppo possano essere determinanti nell’elaborazione a livello europeo di nuove strategie e modalità di convivenza.

Lei oltre ad essere al suo secondo mandato al Parlamento Europeo è relatrice di “Europa Creativa”, un programma di sette anni (2014-2020) incentrato sulla cultura, la creatività, l’audiovisivo e i multimedia. Nonostante il periodo di tagli e austerità, 960 miliardi per l’intero bilancio e 1,46 miliardi solo per Europa Creativa sono stati varati a favore di questi grandi temi. Con questi fondi che cosa si potrà realizzare?
Europa Creativa è il programma dell’Unione Europea che stabilisce misure e finanziamenti ai settori culturale, creativo e audiovisivo per il settennio 2014-2020. Il programma riunisce, pur mantenendo la distinzione tra i marchi, i “vecchi” MEDIA e Cultura e prevede risorse per 1,46 miliardi, il 9% in più rispetto al settennio precedente. Le principali novità del programma riguardano il riconoscimento del valore duale della cultura (intrinseco ed economico), l’inclusione del patrimonio tangibile e intangibile, la complementarietà con le altre politiche dell’Ue, la più dettagliata articolazione di uno strumento finanziario di garanzia europea sui prestiti, l’accompagnamento dei settori culturali e creativi nell’era digitale, la valorizzazione del ruolo di artisti, professionisti e creativi, la valorizzazione della dimensione imprenditoriale, l’allargamento del pubblico e lo sviluppo di nuovi pubblici, l’educazione culturale, media e digitale. Le misure del programma sono rivolte a soggetti profit e non profit, professionisti, operatori e artisti.
Benefici concreti per i progetti e le imprese culturali verranno anche dall’avvio, nel 2016, dello strumento finanziario all’interno del cosiddetto “strand transettoriale”.
Si tratta di un Fondo di garanzia europea che affiancherà i contributi europei ai progetti - i grants - e che assisterà i prestiti nazionali alle micro, piccole e medie imprese culturali e creative, che potranno finalmente vedere agevolate le loro possibilità di accesso al credito. Una vera e propria sfida nel terreno ancora troppo poco esplorato dell’interlocuzione tra istituzioni finanziarie e imprese creative, di cui l’Europa si farà promotrice e garante.

L’economia e l’occupazione possono ripartire dalle politiche culturali? E in che modo?
In Europa cultura e creatività occupano oltre 6 milioni di persone, impegnano 1 milione e realizzano una quota del PIL Ue che arriva fino al 7%. Molti altri studi hanno dimostrato gli effetti positivi sulle economie nazionali degli investimenti pubblici in cultura da un lato, e la capacità della filiera culturale e creativa privata di scatenare un indotto rilevante e generare occupazione di qualità dall’altro.
Un modello sociale ed economico in cui la cultura non rappresenti una direttrice di investimento non è sostenibile, lo argomenta efficacemente l’ISTAT inserendo il patrimonio culturale tra gli Indicatori di benessere. Oggi la direzione nella quale insistere è che patrimonio, turismo culturale, industrie culturali e creative, audiovisivo rappresentano per l’Italia leve di straordinario valore per la competitività e la crescita.

Quali sono gli obiettivi strategici del sistema Europa e Italia nel prossimo futuro?
Un deciso superamento delle politiche di austerity, che hanno chiaramente mostrato il fianco nella scorsa legislatura. Il Presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker ha focalizzato l’agenda della Commissione su 10 punti al centro dei quali c’è soprattutto un piano per gli investimenti che dovrebbe mobilitare fino a 315 miliardi per la crescita e l’occupazione. Gli altri punti della sua agenda sono condivisibili da punto di vista strategico: utilizzare la grande opportunità di crescita offerta dalle tecnologie digitali; puntare sulle energie rinnovabili; completare il mercato interno in termini di prodotti, servizi e circolazione dei lavoratori, e maggior controllo sui movimenti dei capitali per evitare riciclaggio e frodi; stabilizzare l’euro e le finanze pubbliche; negoziare un accordo commerciale con gli USA nello spirito della reciprocità e trasparenza; combattere il crimine e il terrorismo transfrontaliero, e aumentare la cooperazione giudiziaria tra i Paesi membri; la creazione di Commissario speciale per l’immigrazione, incarico ricoperto oggi da Dimitris Avramopoulos; rafforzare il ruolo dell’Europa sullo scacchiere internazionale per raggiungere l’obiettivo di una Europa che possa parlare con una voce unica nelle crisi internazionali; creare una Unione europea sempre più democratica e trasparente nell’interesse dei cittadini. Un piano di partenza che monitoreremo nella sua attuazione e per il quale abbiamo chiesto il massimo coinvolgimento del Parlamento Europeo. In qualità di Presidente della Commissione Cultura e Istruzione, però, ho già espresso la mia preoccupazione per il fatto che nei 10 punti degli orientamenti politici del presidente Juncker sia del tutto assente un riferimento alla cultura, quando invece essa dovrebbe rappresentare un asset fondamentale -insieme allo sviluppo del digitale - per il rilancio dell’economia europea.
E credo che questo sia ancor più vero per il nostro Paese, che ha bisogno di ripartire dalle sue eccellenze: ricerca, cultura, creatività e cultural heritage.

A proposito dell’Italia come valuta l’operato di Matteo Renzi?
Credo che il Presidente Renzi abbia ben intercettato il bisogno di un’iniziativa politica in Italia e in Europa che finalmente parlasse di sviluppo, crescita e occupazione, ma anche di nuova energia e maggiore fiducia. Così come credo sia un bene che in Italia l’età media dei parlamentari italiani nazionali ed europei si sia notevolmente abbassata e che in questo momento il nostro sia uno dei più giovani presidenti del Consiglio al mondo. Spero che siano le premesse per una vera rivoluzione culturale in Italia: se ci si basa davvero sui curricula e sulle competenze, avremo la sorpresa di avere in modo naturale più giovani e più donne. Mi sembra che per tutto questo si stiano ponendo efficaci premesse. Credo che anche dal punto di vista della comunicazione, lo scenario italiano stia migliorando, in termini di coinvolgimento e di capacità di avvicinare i cittadini alla politica. Sul piano europeo, la Presidenza italiana ha di certo avuto l’importante ruolo politico, nell’anno del cambio della legislatura e della revisione della Strategia 2020, di mettere al centro la politica degli investimenti, l’ampliamento dell’ interpretazione della flessibilità e il “triangolo” ricerca, educazione, cultura.

Politica e femminilità. Dall’avvenenza della Boschi alle polemiche suscitate dalle affermazioni dell’eurodeputata del Pd Alessandra Moretti. Secondo lei perché fa tanto discutere la bellezza in politica come se le due cose fossero incompatibili?
Credo che si tratti di uno dei sintomi di un mentalità che ha storicamente determinato l’esclusione delle donne da molti ruoli apicali, non solo in politica. C’è una rivoluzione culturale da compiere, che oggi poggia però su buone premesse: si pensi all’incremento della presenza femminile nel nostro Parlamento e alla buona pratica a livello europeo che l’Italia rappresenta rispetto all’applicazione delle quote di genere nei CdA introdotte dalle Legge Golfo-Mosca. Qualche anno fa partecipando ad un’iniziativa sulla valorizzazione del talento femminile ho ricordato una battuta fatta da qualcuno ai tempi del crack di Lehman Brothers: “Se si fosse chiamata Lehman Sisters oggi, forse, il mondo non avrebbe conosciuto la crisi finanziaria in atto”, sintomo di una finanza che aveva dimenticato la dimensione umana. Se c’è uno specifico femminile è proprio quest’ultimo, e non ha nulla a che vedere con l’avvenenza, che non è e non può essere né un handicap né un vantaggio.

Come coniuga la vita privata ai suoi impegni lavorativi? Le donne sono ancora costrette a fare delle scelte. Si arriverà mai secondo lei a poter far convivere i due aspetti in maniera equilibrata?
Con molta fatica! In generale, c’è ancora molto da fare: gli obiettivi da tenere presenti restano meritocrazia e trasparenza nelle selezioni, parità retributiva, di opportunità formative e di carriere per le donne, nuove forme di organizzazione del lavoro, di flessibilità degli orari, di servizi family friendly. Le diverse esperienze di imprese grandi medie e piccole di alcuni Paesi europei che stanno dimostrando che investire sulle donne è investire anche su una maggiore competitività dell’impresa, nuovi profili di management, di minore precarizzazione del lavoro e maggiore responsabilità dell’impresa verso i territori e la società. Benefici per tutti, e non solo per il genere femminile.

 
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